LA LOTTA DEGLI AEROPORTUALI
I
sindacati confederali si decisero a ricorrere
al referendum come forma di consultazione
democratica dei lavoratori
in sostituzione delle assemblee. La spinta principale per questa scelta fu
sostenuta dalla UIL. Questo sindacato
non riusciva più a tollerare di essere
sistematicamente escluso, o quasi,
dalle discussioni nelle assemblee operaie,
avendo ben pochi quadri operai
attivi nelle sue fila, e dovendo scontare
una (ben meritata) antipatia operaia
per i suoi leader. Pretendere di eliminare
le assemblee operaie sarebbe stato, in
ogni caso, veramente eccessivo -
anche per un sindacato giallo come
la UIL! -, così i tre sindacati, di comune
accordo, decisero di mantenere alle
assemblee il ruolo di "discussione", rendendo magari i propri
funzionari "esterni" esperti
nell'allungare i tempi dei propri
interventi, e di istituire il
referendum, invece, come forma di
consultazione di tutti i
lavoratori. In questo modo - si disse -
non peseranno soltanto le "minoranze esagitate" abituate ad impossessarsi delle assemblee,
ma anche la massa che non è in grado
di esprimere a voce la propria opinione.
In questa massa, si sa, vi è pure una parte di lavoratori poco disponibili
alla lotta, o perché più compromessi
- per vari fili - con
le direzioni aziendali, o perché in qualche modo
"privilegiati" rispetto agli altri per
la particolare collocazione lavorativa (impiegati, quadri, tecnici). In
questa massa i sindacati speravano di poter
trovare un maggior riscontro e sostegno alla loro linea moderata. Ebbene,
da quando il referendum ha iniziato ad
operare nel rapporto base dei
lavoratori/vertici sindacali si è rivelato,
al contrario delle aspettative, un'altra spina nel fianco dei sindacati. Già
più di una volta erano stati sul punto di perderlo. Nel caso dell'Alfa avevano
persino subito l'accusa di essere ricorsi a dei "brogli",
tanto scarso era stato il margine con cui l'ipotesi
di accordo con la Fiat era stata approvata
dai lavoratori. Finché anche il referendum, come garanzia di consenso alla
linea sindacale, ha perso la sua verginità.
La maggioranza dei lavoratori
aeroportuali ha bocciato l'accordo
sindacati/Assoaeroporti siglato con la
mediazione del governo (53,11% NO,
46,89% SI). L'apporto principale al
NO è stato dato dai lavoratori di Fiumicino (75% di NO). In verità già
un'altra volta - nel 1984
- a Fiumicino era stato bocciato
un accordo contrattuale. In quel caso,
però, il resto della categoria aveva compensato
con alte percentuali di approvazione.
Questa volta non è accaduto. Anche
se il SI è prevalso nella maggioranza
degli altri aeroporti, il conteggio
complessivo ha visto prevalere i NO
per oltre 1200 voti. Il risultato
è stato così choccante che qualcuno nel
sindacato ha cominciato a chiedersi se
non sia il caso di... sbarazzarsi anche
del referendum!
Choccante,
comunque, questo risultato lo è per
il sindacato, al di là della questione
referendum, perché per la prima volta una categoria intera (diversamente
dai macchinisti, che sono solo una parte dei ferrovieri) ha bocciato un
accordo da esso sottoscritto. Nessuno
può dire che sia stato un fulmine
a ciel sereno. Il dissenso dai contenuti
che si andavano delineando i lavoratori,
in particolare di Fiumicino, l'avevano
già ampiamente e chiaramente
espresso nei mesi precedenti, nelle
assemblee e in ogni altra occasione
di incontro con i sindacati, con i mass-media,
con i partiti, e soprattutto dando
vita ad una esperienza di lotta molto
dura e significativa.
Contratto
e deregulation
Il
rinnovo del contratto collettivo degli aeroportuali è partito
contemporaneamente ad una grande
ristrutturazione lanciata in tutta
la Comunità Economica Europea nel
settore dei trasporti aerei con lo
slogan della "deregulation".
Questa prevede, in buona sostanza, la liberalizzazione delle tariffe,
con sconti fino al 40%, e la possibilità
per le compagnie straniere di entrare direttamene in concorrenza con
quella di bandiera sul territorio nazionale
di quest'ultima: ad es. la British
Airways potrà collegare Londra e Roma,
facendo però uno scalo intermedio,
poniamo a Parigi, imbarcandovi
passeggeri diretti a Roma. L'Alitalia,
che gode di una buona situazione di
bilancio, poggiata su uno tra i più
alti tassi di produttività nel mondo
e su un monopolio quasi totale in
Italia, non vede di buon occhio la liberalizzazione
decisa in sede CEE e preme sul
governo per essere aiutata a reggere
le nuove condizioni di concorrenza.
Da un lato si prepara sin da subito
a comprimere al massimo la forza lavoro, saturando i tempi di lavoro e
riducendo i costi, dall'altro vuole essere
sgravata dal peso di garantire il servizio
per alcune tratte essenziali, ma poco
frequentate.
Oltre
che sul piano della ristrutturazione
aziendale l'attacco del padronato procede
anche sul terreno della compressione
dei salari. Nella vertenza Alitalia
il Presidente del Consiglio Goria è
intervenuto in prima persona, sul finire del
novembre scorso, emanando il famoso
"editto sui salari" che sancisce che nei prossimi tre anni le retribuzioni non dovrebbero crescere più dell'inflazione, ovvero del 15-16% nel triennio a regime e tutto compreso. In sostanza la contrattazione dovrebbe tutt'al più coprire quella percentuale d'inflazione che rimane scoperta dal recupero automatico della ultramutilata
scala mobile, senza spazi per aumenti salariali reali. Nell'intesa
siglata da CGIL-CISL-UIL il 13 marzo scorso
gli aumenti previsti scattano tutti
entro i 3 anni, ma, poiché permane
l'allungamento della durata del contratto
a 4 anni, l'Alitalia si è messa,
comunque, al riparo dalla richiesta di
nuovi aumenti per il '91. Se si
considera che i due precedenti contratti
dei lavoratori di terra degli aeroporti
erano figli dell'EUR (60.000 lire in
tre anni contrattate nel '79 e 150.000
lire in tre
anni, contrattate nell'84), si
capisce con quale rabbiosa volontà
di rivincita si sono presentati all'appuntamento
i lavoratori aeroportuali, gli
unici - tra l'altro - a subire ancora una settimana
lavorativa di 40 ore.
E
poiché la risposta padronale ha teso a
comprimere al massimo tutti i costi del
contratto, a difendere con i denti e con
le unghie la settimana lavorativa di 40
ore, a garantirsi gli spazi per manovrare liberamente la forza-lavoro
nella prospettiva delle ristrutturazioni determinate
dalla deregulation, si capisce come
questa vertenza sia venuta caricandosi
di forti significati politici a livello
dello scontro di classe complessivo. E si capisce, anche, come governo, padronato
e stampa asservita abbiano montato, per tutto l'arco della vertenza,
una inverosimile canea contro gli scioperti
degli aeroportuali, con il corredo
di melensaggini sui disagi degli utenti, per aprire la strada ad una legge
anti-sciopero, strumento con il quale si punta a comprimere la capacità di
organizzazione e di lotta di tutti i lavoratori.
L'esperienza
di lotta degli aeroportuali è
stata, finora, senz'altro positiva, e questo
non solo per la durata e l'intensità della lotta, ma anche per la corretta
attitudine che gli aeroportuali hanno
dimostrato non facendo proprie certe
soluzioni di separato categorialismo,
che, invece, per l'assenza, oggi, dallo
scontro sociale del corpo centrale della
classe operaia, hanno potuto caratterizzare
le esperienze di lotta di altri
settori (vedi i macchinisti). D'altronde,
ai lavoratori aeroportuali
nessun estremista del "fuori e contro"
il sindacato potrà contestare di non aver lottato con tutte le proprie forze
per imporre una piattaforma realmente
rappresentativa delle istanze dei
lavoratori e per supportarla in ogni momento con le forme di lotta di volta
in volta necessarie, scioperando compatti
anche contro i divieti dei vertici
sindacali, prescindendo dai calendari
concordati per scendere in sciopero quando era il momento, contestando
radicalmente i vertici sulle forme di lotta
e sulle mediazioni raggiunte. I
lavoratori, profondamente avvelenati
per le precedenti svendite sindacali e contro
la linea dell'EUR, non si sono mossi
per questo nella direzione di un'organizzazione
sindacale alternativa (di
categoria), che, allo stadio attuale
di maturazione delle contraddizioni di
classe, o è una mera astrazione che vive
nella testa di alcuni inguaribili "estremisti"
o è il veicolo concreto delle illusorie spinte di alcuni settori di lavoratori che pensano di mettersi al riparo dall'attacco padronale separando il destino della propria "ultraprofessionalizzata"
categoria da quello del resto della
classe operaia e lavoratrice.
Non
a caso, hanno sempre rifiutato l'appellativo
di cobas, e non hanno mancato
di riconoscersi nell'unitario esercito
di classe aderendo e partecipando in massa allo sciopero generale
di tutti i lavoratori contro la legge finanziaria
e il governo Goria del 25
Novembre
'87.
Tutto questo, naturalmente, non esclude che in alcuni settori di lavoratori possa serpeggiare l'illusione che monta dalla presunzione della "importanza centrale" del trasporto aereo e porta a sopravvalutare, di fatto, le possibilità contrattuali della categoria in quanto tale.
Oltre
il no
La
bocciatura dell'accordo è stata la logica
conclusione di questa vicenda di lotta.
Eppure essa apre problemi enormi
non solo all'interno della struttura sindacale,
ma anche dinanzi ai lavoratori che
l'hanno promossa. Per i sindacati il
NO suona come una sconfessione sia
dei contenuti del contratto che delle modalità del loro rapporto
con i lavoratori. Le divergenze erano
emerse fin dal varo della
piattaforma, e, nel corso della lotta, i lavoratori hanno dovuto più di
una volta avvertire il sindacato che stava
esagerando nei cedimenti rispetto,
persino, alla piattaforma originaria.
Malgrado questi "richiami all'ordine",
l'accordo finale ha lasciato fortemente
scontenti i lavoratori su almeno due
punti essenziali: la riduzione d'orario
e la durata del contratto. E molto
difficile che il sindacato si determini
a riaprire la contrattazione, anche
se non tutte le reazioni sindacali sono state di chiusura verso i lavoratori.
Si
pone, in realtà, anche per il sindacato
il problema di non deprimere o disperdere
la grande volontà di lotta che la categoria ha espresso. A quale prezzo?
Quello di smentire se stesso e riprendere
tutto daccapo? Con quali conseguenze
sul futuro dei rapporti lavoratori/sindacato?
D'altronde
c'è una incognita reale, che si pone
al di là dell'uso strumentale che ne
fanno alcuni esponenti sindacali: riuscirebbero i lavoratori a profondere
in una eventuale riapertura della vertenza
una carica di lotta maggiore di quella
manifestata sino ad ora, considerando,
per di più, la particolare "indisposizione"
della controparte? Su questo dato di
incertezza grava, tra l'altro, una
quasi-certezza: quei lavoratori che
hanno accettato l'accordo non sono
disponibili a riaccendere una lotta che
è già costata molto (sul piano salariale si calcola una perdita media
di 1.200.000 a testa per gli scioperi fin qui fatti).
In
buona sostanza la compattezza della categoria, già precaria in alcuni momenti
precedenti, rischia di non riuscire
a ri-proporsi, e anche tra gli aeroportuali
potrebbe ripetersi una situazione
già sperimentata in altre categorie, ovvero che una parte dei lavoratori,
quelli sicuramente più combattivi, si separano dal resto della massa e invece
di trasformare la loro volontà di lotta
in battaglia politica permanente per la ripresa di tutto il movimento di lotta
si attestano nello "splendido" isolamento
dei "più coscienti" e più "volenterosi".
Come
evitare questo rischio?
C'è
un solo modo per evitarlo, ed è quello
di sospingere più innanzi la
propria battaglia politica, traendo
con coerenza le lezioni che la stessa
esperienza di lotta degli
aeroportuali ha posto in primo
piano. La principale di queste è che
essi hanno dovuto sostenere la loro lotta in un sostanziale
isolamento dai lavoratori di tutte le altre categorie. Infatti mentre
il fronte avverso (Alitalia e governo) si
muoveva in modo compatto, attorno
agli aeroportuali non si è creato alcun
sostegno attivo da parte del proprio
potenziale comune fronte. Anzi tra gli operai ha avuto, persino, un
certo spazio la presentazione che vari
sindacalisti facevano degli aeroportuali
come lavoratori un po' "privilegiati"
che, in più, stavano ottenendo dal
contratto risultati migliori di quelli
operai.
Questo
dato ha indubbiamente indebolito le
possibilità di successo della lotta
dei lavoratori aeroportuali. E una eventuale ripresa della lotta lo vedrebbe,
molto probabilmente, ancora più aggravato.
Si
ripone, insomma, per essi lo stesso problema
postosi per i macchinisti, all'Alfa,
che si va ponendo anche per i siderurgici,
e che travaglia le lotte operaie dal
lontano 1980, quando per la prima
volta la borghesia riuscì a frammentare il fronte di classe e ad imporre,
alla FIAT, una dura batosta agli operai.
Vincere,
da soli, uno scontro duro diviene sempre più
difficile. Questa è la prima,
fondamentale, constatazione da cui
partire.
Non
certo per trarre la conclusione che,
allora, è meglio non tentarlo proprio,
o, per trarre l'altra, speculare alla prima
e non meno dannosa di essa, da "veri
eroi lo tenteremo lo stesso, chi avrà
un attimo di respiro in più prevarrà"
(che di respiro in più qualunque padrone,
assistito dalla sua classe, ne
ha terribilmente in più di qualunque
operaio, o gruppi di operai, non
assistiti dalla propria!!!). Ma
per trarre l'altra conclusione, la più
logica: quella di dedicare le proprie energie
oltre che al mantenimento
e consolidamento dello stato di
agitazione della categoria per
ottenere una correzione del contratto sulla riduzioni d'orario
e sulla durata, ad una battaglia
politica data nella categoria e rivolta all'intera classe per attestarle
su una linea di difesa più avanzata, sostenuta
da un movimento di lotta generale che,
mentre sostiene e rivendica obiettivi
comuni, dà anche sostegno diretto e indiretto, a qualunque lotta particolare
o locale, che si muova nello stesso
senso.
Una
battaglia politica (tanto più necessaria,
se dovessero mancare le condizioni
per una immediata ripresa della lotta
che sia vincente) che, inevitabilmente, deve avere come arena principale
il rapporto lavoratori/sindacato proprio in quanto, questo secondo, è
ancora l'unico strumento che possa garantire
una generalizzazione della lotta.
Ma come, mentre il sindacato consuma un ulteriore tradimento delle giuste esigenze dei lavoratori, voi proponete di "ritornare" ad esso? NO. Noi proponiamo di affrontare, finalmente, il cuore della questione: lavorare a "creare" la premessa vera del successo anche delle lotte particolari, una ripresa possente della lotta proletaria su una linea di comune difesa. La lotta degli aeroportuali è riuscita, finora, a contenere le spinte "separatiste". Il suo attuale epilogo non deve dare nuovo vigore a queste ultime tendenze. Ai comunisti e ai lavoratori più coscienti spetta il compito di non disperdere le grandi energie che questa lotta ha sviluppato, incanalandole verso quei luoghi e momenti di lotta politica imprenscindibili per realizzare il consolidamento e l'estensione della generale ripresa della lotta di classe, da cui anche una ripresa della lotta degli aeroportuali ha tutto da guadagnare.
SCHEDA
L'Alitalia e l’Ati - compagnie nazionali di bandiera - e le diverse società che gestiscono gli aeroporti italiani occupano complessivamente circa 28 mila lavoratori di terra. Di questi, 12000 lavorano allo scalo internazionale di Fiumicino. Mentre gli aeroporti, ad esempio di Torino e di Milano sono gestiti da Società (rispettivamente la Sagat e la Sea) con capitale essenzialmente degli enti locali, gli aeroporti del centro sud sono prevalentemente gestiti o direttamente dall'Alitalia o da società, come la Soc. Aeroporti di Roma, di cui l'Alitalia è la maggiore azionista. I conti Alitalia sono positivi. Nell'87 la compagnia ha registrato un considerevole incremento del trasporto di passeggeri (più 15,5%) e del traffico merci (più 8,7%). Il fatturato è stato di 4005 miliardi con una crescita del 6,5% rispetto all'anno precedente. Gli utili netti negli anni 84-87 sono andati crescendo in progressione: 21, 52, 62 e 73 miliardi. L'assemblea degli azionisti del 16/11/87 ha votato un aumento del capitale sociale da 421 a 585 miliardi. Il tasso di produttività dell'Alitalia conta 1 addetto ogni 635 passeggeri ed è superiore al tasso PAN AM (573), British Airways (451) e Lufthansa (400). La trattativa per il rinnovo del CCNL dei lavoratori di terra degli aeroporti è iniziata il 13 agosto scorso. La piattaforma dei lavoratori chiedeva 220.000 lire medie mensili di aumento di paga base - con un aumento tabellare minimo di 120.000 lire al livello più basso - e la riduzione dell'orario di lavoro da 40 a 37 ore e mezza per gli scali che fanno ancora 40 ore. Interessati alla riduzione dell'orario sono 15.000 lavoratori degli scali gestiti - direttamente o indirettamente - dall'Alitalia; negli altri scali infatti già vige l'orario di 37 ore e mezza. La proposta di mediazione ministeriale del 13 dicembre prevedeva l'allungamento della durata del contratto a quattro anni e scaglionava lungo questo periodo (30% nell'88, 30% nell'89, 25% nel 90 e 15% nel 91) un aumento medio mensile a regime di 235.000 lire tutto compreso (secondo l'Alitalia anche gli straordinari). Le riduzioni di orario proposte erano di 56 ore annue (1 ora e 15 a settimana) per i turnisti su 24 ore, di 40 ore (50 minuti a settimana) per i turnisti su 16 ore e di 24 ore (30 minuti a settimana) per i giornalieri. Si proponeva altresì lo slittamento di un anno della contrattazione integrativa. L'intesa siglata il 13 marzo conferma l'aumento globale di 234.000 lire medie a regime, pari a un aumento medio di 180.415 lire per paga base, oltre alla rivalutazione di altre voci, straordinario escluso. Ma la maggior parte dei lavoratori, inquadrata nel 6° e 7° livello, percepirà un aumento globale di 180.000 lire a regime, mentre l'aumento globale a regime per il livello più basso è di 100.000 lire. Gli aumenti sono scaglionati in tre anni (35% nell'88, 15% primo semestre 89, 15 % secondo semestre 89, 17,5 % primo semestre 90 e 17,5 % secondo semestre 90) ma la vigenza del contratto è comunque prolungata al settembre 91. Parimenti è confermato lo slittamento dello integrativo e gli aumenti tabellari concessi vengono sterilizzati alfine del calcolo dello straordinario. La tanto sbandierata riduzione dell'orario si riduce a questo: per i turnisti su 24 ore 10 giorni (85 ore annue) scaglionati fino al 30/06/91: peri turnisti su 16 ore 12 giorni (102 ore annue) scaglionati fino al dicembre 93; per i giornalieri 7 giorni (59 ore annue scaglionati fino a dicembre 91. Senonché questi giorni vengono regolamentati come permessi retribuiti, in quanto tali godibili solo subordinatamente alla presenza del lavoratore (in media 1 giorno di permesso ogni 22 lavorativi) e alle esigenze tecnicooperative dell'azienda, dovendosi "realizzare concretamente - così recita l'intesa - la concidenza tra la disponibilità teorica e quella effettiva della forza lavoro all'interno del processo produttivo ". Ove non si realizzi la congiunzione astrale che consente la fruizione del giorno di permesso questo viene più semplicemente monetizzato. |