LOTTA A FONDO CONTRO IL GOVERNO GORIA-AMATO!


Un governo «debole»? Un governo «a due facce», l'una conservatrice (DC), l'altra «progressista» (PSI)? Il programma ed i primi passi del nuovo esecutivo, sia in politica economica che in politica estera, danno a vedere che esso saprà fare la sua parte nella difesa degli interessi del capitale. Spetta al proletariato dar vita ad una opposizione effettiva e forte agli ulteriori sviluppi dell'attacco borghese.

Per nostra fortuna si sono dileguate in fretta le fatue dispute sulla "paternità" e sulla caratura del rag. Giovanni Goria da Asti. Senza quel chiacchiericcio, è più agevole andare al cuore del problema: il compito del nuovo governo. Molti usano, à questo proposito, il termine "transizione". D'accordo; ma transizione a cosa? Transizione ad un nuovo tornante dell'attacco al proletariato e, nel contempo, ad un tentativo più serrato di coinvolgerlo nel sostegno attivo al ruolo imperialista dell'Italia nel mondo. Compito tutt'altro che facile, quello di bastonare e coinvolgere, tanto più perché va assolto in un quadro internazionale di crescente caos economico e politico e di montante (o incubante) lotta antimperialista delle masse lavoratrici oppresse dei "nuovi" continenti. È normale che la borghesia italiana si incammini con circospezione e prudenza sul nuovo terreno interno ed internazionale, preoccupata di non compromettere i risultati conseguiti nei due ambiti. Un tale atteggiamento pragmatico (come piace dire a Craxi) è quello necessario nella presente congiuntura, e solo i fessi possono ritenerlo "di basso profilo". Al contrario, esso è quanto mai utile al fronte capitalistico per logorare ulteriormente il fronte operaio - con le cui direzioni riformiste si tiene sempre "aperto" il dialogo - in preparazione dei colpi molto duri che stanno per arrivare.

Per questo è irresponsabile (verso la classe operaia) e complice (verso le esigenze della borghesia) sostenere, come ha fatto il direttore de "L'Unità" Chiaromonte, e per giunta all'indomani della "mini"stangata di fine agosto, che "manca un governo degno di questo nome". È la fregnaccia del "governo debole", riproposta da un direttore che non… ricorda neppure che il suo stesso giornale, il 23 giugno, titolò "Gli industriali reclamano: pentapartito subito" e, il 14 luglio, definì l'attuale capo del governo "il vero alfiere del neo-liberismo all'italiana", uno chef- sin dagli esordi - "sa rispettare chi di dovere", alias i padroni del vapore.

Questo non è un governo "debole", ma un governo che ha un debole verso Confindustria e sistema bancario. E che succede ad un "governicchio", come quello di Fanfani, che è servito egregiamente e consolidare sul piano elettorale, in chiave antioperaia, il consenso intorno ai due partiti-perno del governo "forte" per definizione, il governo Craxi. Un governo che nei suoi quattro anni di vita ha prodotto "una grandissima redistribuzione non solo del reddito, ma soprattutto del potere a favore dei ceti più forti", leggi capitale monopolistico e suoi strati di supporto (a dirlo è Reichlin su "Rinascita" del 18 luglio). Governo Craxi forte (contro la classe operaia); governo Fanfani minoritario ed elettorale (per colpire, anche su questo piano, il proletariato e rinsaldare i poli borghesi più aggressivi); governo Goria "debole" (verso il grande capitale): tre tipi di governo borghese che si differenziano sotto svariati aspetti particolari; ma non certo sul contenuto essenziale della loro azione, un contenuto dall'inizio alla fine antiproletario. Quello che manca non è un governo del capitale "degno di tal nome", ma un'opposizione di classe che sia tale!

Del resto, la prima stangata di assaggio ed il lavoro preparatorio della finanziaria '88 esprimono in modo non equivocabile l'orientamento del governo Goria-Amato (della politica estera ci occupiamo in un altro articolo dedicato alla questione del Golfo Persico). C'era da recuperare una parte almeno delle migliaia di miliardi elargiti dal governo Fanfani a medici, super-burocrati, ufficiali ovvero concessi - ad un diverso livello - ai pubblici dipendenti di varie categorie, perché "allungassero le distanze" rispetto alla classe operaia. Dove è andato a cercarli il primo "ministro del Tesoro socialista"? Nelle tasche dei "consumatori", che, come ognuno sa, non sono tutti eguali…, nelle tasche cioè dei lavoratori. Medesimo è l'indirizzo per quel che concerne la finanziaria. Nonostante le accortezze linguistiche (vietato parlare di stangate!), è certo che il governo "opererà" tagli al salario sia dal lato delle entrate che da quello delle uscite (del bilancio statale). Sul primo versante, aumentando le imposte indirette (ed anzitutto l'IVA) e introducendo nuove imposte da pagare ai comuni e alle regioni. Sul secondo versante, tagliando sulla spesa sanitaria (reintroduzione dei ticket), sulla spesa pensionistica (là dove s'annidano i grandi parassiti… a 300.000 lire al mese), sulla spesa per i cassintegrati e così via. In entrambi i casi colpita è la massa del lavoro salariato. Al momento delle consultazioni per la formazione del nuovo governo, Lucchini, a nome della Confindustria, fece a Goria due richieste secche: 1) riduzione "strutturale e permanente" degli "oneri sociali" oggi a carico delle imprese, da recuperare attraverso l'aumento delle imposte indirette; 2) riduzione delle spese statali "parassitarie" (che vanno a vantaggio, cioè, di classi diverse da quella capitalistica). Il governo Goria-Amato ha un debole, e si vede…

Esso, naturalmente, non è e non può essere il semplice passacarte degli industriali privati. Deve infatti raccordarsi anche alle altre forme del capitale ed alle rispettive organizzazioni e raccordare queste tra loro temperandone gli eccessi, nonché - last but not least - coordinarne l'azione contro il proletariato e verso le classi intermedie. Nondimeno, pur tenendo conto delle prudenze di forma, è limpido l'orientamento del governo di riversare sulla società, e in primo luogo sui lavoratori, un'altra quota dei rischi e dei costi del capitale e dello stato capitalistico. Il più alto tasso di interesse reale del mondo (a favore del capitale monetario) e per buon peso una massiccia deregulation finanziaria; la fiscalizzazione strutturale degli oneri sociali (a favore del capitale industriale); la più alta evasione fiscale dell'Occidente (a favore del capitale produttivo e commerciale di minore entità); un innalzato rendimento dei titoli di stato, al di là della farsesca micro-tassazione (a favore di tutti i settori del capitale e di ampie fasce delle classi medie); tagli alla spesa "sociale" ed inasprimento delle imposte indirette: sono altrettanti capitoli in cui compare sistematicamente il segno + per il capitale e il segno - per la classe operaia e i lavoratori in generale. E magari, poi, la svalutazione della lira…

L'obiettivo è quello di innalzare la forza economica, politica e militare della borghesia italiana. Goria e soci, che fino a ieri magnificavano il "secondo miracolo economico" facendo balenare agli occhi del proletariato futuri benefici, oggi, incamerati dal capitale tutti i vantaggi dell'intermezzo favorevole, invocano, per giustificare i nuovi sacrifici dei lavoratori, l'oggettivo cambiamento in peggio della situazione: le esportazioni sono in caduta, la Borsa scende, il deficit commerciale si allarga. Insomma, se i conti tra la "nostra" borghesia e le altre frazioni della borghesia mondiale non sono più floridissimi, su chi scaricare le perdite? Sul lavoro salariato, ovviamente.

I primi 3/4 del 1987 sono stati il primo periodo, del 1980, in cui il salario degli operai occupati (non parliamo della massa salariale complessiva) è riuscito a tenere il passo dell'inflazione, grazie agli scioperi ed alla lotta per i contratti. Ma mini e maxi stangate già provvedono a frenare le illusioni. Se per i padroni è stata festa grande, per gli operai un giro di liscio e una birra possono bastare!

Sarà dunque facile e scontata la risposta di opposizione e di lotta da parte del movimento proletario? Non lo crediamo. Anzitutto perché il governo, pur assecondando in pieno le necessità capitalistiche, non rinuncerà a prospettare scambi ed a promettere benefici per questa o quella parte della massa proletaria o perfino per il suo insieme (in queste "aperture" politiche e sociali non mancheranno di marcare la propria "diversità" i ministri socialisti, in particolare il ministro del lavoro Formica). Ci sarà per certo, ad esempio, il rilancio delle promesse "a favore" dei disoccupati del Sud, saranno forse ritoccati gli assegni familiari, sarà forse mantenuta la piccola riduzione dell'IRPEF già "concessa" in base all'accordo governo-sindacati del novembre '86 e non messa in atto. Sicché il governo chiederà sacrifici agli occupati in favore non del capitale (non sia mai!), ma dei disoccupati e del "Sud" (di quale classe e di quali strati sociali non è affar vostro sapere). E cercherà di coprire una secca sottrazione di risorse e di potere a danno del proletariato, sotto il manto di una finta partita di giro, di uno scambio pressoché alla pari.

La seconda ragione di difficoltà è dovuta al modo in cui PCI e vertici sindacali arrivano all'autunno. II PCI versa in una situazione di stallo dovuta ad una acuta lotta interna tra posizioni e prospettive differenti (ancorché tutte riformiste) e, al fondo, al venire meno delle condizioni di tenuta del suo proprio "blocco storico". Promette opposizioni, naturalmente, ed ad una qualche opposizione deve dar vita. Ma di che tipo? Da un lato i Colajanni, i Borghini, i Turci (quella "destra" ben più potente dei propri formali incarichi di partito) inveiscono contro il preteso "offuscamento della funzione nazionale ed unitaria" del PCI, attaccando finanche Berlinguer per essersi troppo sbilanciato a favore dei "deboli" e degli "emarginati" (così Borghini su "Rinascita" dell'8 agosto. Dall'altro la variegata area degli Ingrao, dei Bassolino, dei Libertini chiede una maggior tutela immediata per i lavoratori, senza peraltro formulare alcun preciso piano di lotta. In mezzo, come un asino tra i suoni, la maggioranza nattiana e gli assimilati continuano a dire di voler "dare battaglia in nome degli interessi nazionali e non solo di quelli della povera gente" (Reichlin su "L'Unità" del 28 agosto). Cosa che, in pratica, è complicata anzi che no. Perché, se -con il concorso del prode Achille - quella importante "componente nazionale" che è il mondo del "lavoro autonomo" (commercianti, padroncini e professionisti) si sottrae alla tassa sulla salute, a pagare sarà ancora una volta Cipputi: c'è poco da gingillarsi col "gioco a tutto campo". Qua si raccoglie sempre nell'orto domestico dei lavoratori e mai nelle ricche "fazendas" di loro signori! C'è poco da fare a slalom: la questione dei conti dello stato è una questione di rapporti tra le classi sociali, che sono quelle ben note a tutti (e soprattutto a chi ne nega l'esistenza). L'attivo economico-politico di una non pub che essere il passivo dell'altra (anche quando, com'è nel caso italiano, la borghesia attinge a piene mani dal lavoro erogato all'estero nei paesi cosiddetti incivili). Non minore è la confusione delle lingue e la diversità delle prospettive (ancorché tutte "collaborazioniste") nel campo sindacale. Mentre il governo appresta alacremente la sua offensiva e la sua tattica, gli stati maggiori del sindacato, con calma a dir poco olimpica, istruiscono le procedure del "confronto unitario", un confronto per la quale - tiene subito a dichiarare Colombo della CISL - manca una strategia comune. Per Benvenuto e la UIL, infatti, essere "sindacato dei cittadini" significa rivendicare, come priorità, la efficienza dei servizi statali (sui "costi" si può discutere). Per la CISL, viceversa, parlando di finanziaria, il problema è sempre… un'altro: orario di lavoro e compartecipazione dei lavoratori agli utili, riduttivo essendo - manco a dirlo - "limitarsi" a dire no agli effetti più "feroci" del taglio della spesa "sociale". A loro volta le istanze dirigenti della CGIL, oltre a riproporre al pubblico la spenta trimurti "investimenti, occupazione, consumi", forniscono i titoli - e ben poco d'altro - di una eventuale linea di difesa: equità fiscale e occupazione al Sud. Cioè a dire? Fino ai primi di agosto l'accento (perfino quello di Marini) cadeva, e con una certa foga, sul recupero salariale da realizzare attraverso una contrattazione aziendale su larga scala. Poi l'enfasi è andata via via spostandosi verso una vaghissima lotta agli "evasori" ed ai "parassiti" (che sono esattamente la gran parte di quella legione del "lavoro autonomo", con l'insieme della quale - a stare ai dirigenti riformisti - i lavoratori salariati avrebbero interesse ad unirsi…).

Compagni operai, compagni delegati

non facciamoci illusioni sulle reali intenzioni del nuovo governo. Esso sta preparando, sulla scia dei governi che l'hanno preceduto, nuovi sacrifici per la massa del proletariato e nuovi "atti di guerra" contro i lavoratori di altri paesi. Di nuovo c'è solo la forma di questo attacco.

Il governo Craxi ci rapinò una parte della scala mobile e diede tutto il suo sostegno ai padroni perché realizzassero nelle fabbriche un enorme aumento della produttività e della mobilità del lavoro, smantellando al contempo, a loro vantaggio, alcune "rigidità" del mercato del lavoro. Risultato: un fortissimo afflusso di profitti e di potere al capitale, e specie a 45 grandi trust. Ora il governo Goria vuol perfezionare questo lavoro, imponendoci nuove imposte indirette e tagliando sulle prestazioni "sociali". È il momento di dire BASTA a questa storia infinita di sacrifici! Scendiamo in lotta! Abbiamo saggiato la nostra forza al tempo del movimento degli autoconvocati, e poi al porto di Genova, nei contratti, all'Alfa, nelle ferrovie. Problemi ce ne sono, ma la forza che possiamo mettere in campo è potenzialmente grandissima.

Non facciamoci sviare o addormentare dalle chiacchiere sul "governo debole" o dal gioco degli ammiccamenti a questo o a quel ministro "buono". Il ministero Goria-Amato non sarà debole nel difendere gli interessi del capitale. E di ministri "buoni" per il proletariato, in giro, non ce n'è neppure l'ombra.

Non facciamoci paralizzare dalla "confusione" che c'è dentro il PCI, né dai contrasti tra CGIL-CISL e UIL o dai ricatti sull'unità sindacale. Se davvero vogliamo bloccare il peggioramento delle nostre condizioni di vita e "tornare ad essere forti", mettiamo avanti le nostre necessità e scendiamo in campo senza dare deleghe.

Questo doveva essere l'autunno in cui "completare" con la contrattazione aziendale il recupero del salario perduto negli scorsi anni (che abbiamo appena avviato negli ultimi contratti). Bene, che lo sia! Andiamo alla lotta non in ordine sparso, ogni fabbrica per proprio conto, ma in ordine serrato, altrimenti sarà più facile batterci.

Questo può e deve essere l'autunno di una lotta vera ed unitaria contro la finanziaria '88. Facciamo tesoro di quanto è successo negli anni precedenti. Nel '85 gli studenti scesero in piazza in massa, ma rimasero soli. Nel '86 i vertici sindacali accettarono, a nostro danno, di separare la lotta contrattuale dalla lotta contro il governo e, per dare il lasciapassare alla finanziaria, si accontentarono di generiche promesse (che oggi sono loro stessi a dichiarare violate). Non permettiamo che la cosa si ripeta. Chiamiamo alla lotta contro il governo, con proposte unificanti sulla riduzione drastica e generale dell'orario di lavorò ed il salario garantito, tutti i settori dei lavoratori, i disoccupati, gli studenti. Bocciamo in piazza la finanziaria!

Governo Goria, Confindustria, banca, … comandi militari, sono tra loro strettamente coordinati, una sola "famiglia di fatto", come dice Amato. Coordiniamo anche noi lotta aziendale e lotta contro la finanziaria, ed entrambe con l'attiva denuncia delle manovre e dei preparativi bellicisti della "nostra" borghesia nel Golfo Persico e nel Mediterraneo. E sia questo anche il terreno su cui realizzare una profonda riorganizzazione delle nostre fila, la nostra vera "riforma istituzionale".