Riceviamo da Parigi, con preghiera di darne notizia, il seguente comunicato firmato da "alcuni compagni italiani" ivi rifugiati. Ben volentieri ne pubblichiamo il testo completo:
"Dopo l'espulsione di Paolo Neri e Luisa Aluisini a marzo, una nuova operazione poliziesca viene messa in atto con l'arresto di quattro italiani in seguito alla richiesta di estradizione da parte dello stato italiano.
Di nuovo grossi titoli sui giornali, di nuovo articoli menzogneri della stampa, intieramente costruiti sulle informazioni dei servizi di polizia. C'è una "strana" unanimità nei media, oggi, per ciò che concerne il terrorismo. Non è un caso se Pasqua si felicita della loro collaborazione. Le prossime elezioni in Italia e in Francia determinano, in parte, la necessità da parte degli organi statali di "propagandare" presunti successi nella lotta contro il terrorismo.
La crisi, da tempo, scuote le strutture economiche e politiche: ristrutturazioni e licenziamenti sono delle costanti, la repressione di qualsiasi antagonismo costituisce il mezzo atto ad imporre queste pratiche.
Incarcerazioni, espulsioni, provocazioni poliziesche, rastrellamenti dei quartieri proletari, criminalizzazioni di ogni polo di reale opposizione sono le "particolarità" francesi di risposta alla crisi. La repressione che in questo momento si abbatte sui compagni italiani è direttamente legata a questa strategia.
Un nuovo passo nella collaborazione delle polizie di tutti gli stati imperialisti viene così compiuto
A TUTTI I PROLETARI,
A TUTTI I COMPAGNI,
CHE LA LOTTA CONTRO LE ESPULSIONI E LE ESTRADIZIONI SI INTEGRI NELLA BATTAGLIA PIÙ GENERALE CHE DA SEMPRE CONDUCIAMO CONTRO LO STATO BORGHESE!
Manifestiamo con la nostra presenza all'udienza del 10 giugno al Palazzo di Giustizia per sostenere i compagni! "
Siamo totalmente solidali col contenuto di questo documento; soprattutto per la chiarezza con cui la repressione è ricondotta al suo nodo centrale: l'attacco borghese, destinato ad approfondirsi con il precipitare della crisi, contro il proletariato e il conseguente richiamo all'inserimento della lotta antirepressiva alla più generale battaglia, del proletariato e dei comunisti, contro lo Stato borghese, contro l'Internazionale del stati borghesi.
Alla festa di "Lutte Ouvrière" a Parigi abbiamo ricevuto un appello del "Fronte armato antigiapponese dell'estremo oriente" che chiede solidarietà con due dei suoi militanti condannati di recente in Giappone alla pena di morte. Ammettiamo francamente di non avere altre notizie su questa organizzazione, della quale - perciò - non possiamo né intendiamo cauzionare le posizioni. Nondimeno, riteniamo sia nostro dovere rispondere a questa richiesta di sostegno nella lotta senza frontiere contro la repressione borghese.
L'accusa contro Daidoji Masashi e Masunaga Tashiaki è quella di avere progettato di uccidere l'imperatore Hirohito e di avere compiuto attentati contro imprese impegnate nella produzione bellica del risorgente militarismo giapponese. La condanna a morte, comminata circa quattro mesi fa, sarebbe la prima mandata ad esecuzione - dalla fine della seconda guerra mondiale - contro "prigionieri politici". Fatto questo che costituisce un altro piccolo segnale di quell'inasprimento dei rapporti tra le classi sociali anche in questo "paradiso della pace sociale", di cui abbiamo parlato nell'ultimo numero del nostro giornale.
L'appello del "Fronte" in Europa - che non fa menzione delle iniziative in corso in Giappone - contiene la richiesta di spedire lettere di protesta al Ministero della Giustizia del Giappone contro la decisione della condanna a morte e la sua esecuzione. L'indirizzo del Comitato di difesa è: Tohkaraji - Sya, R.H. Yanagi 312/ Fuyacho Ayanokoji Sagaru/ Simogyo-Ku, Kyoto (Giappone).
Cari compagni, sono un vostro lettore e vorrei raccontarvi un'esperienza vissuta insieme con un altro compagno. Siamo stati ieri a Campo di Carne. Tale di nome e di fatto, quasi che chi pensò di mettere questo nome a questo posto avesse in mente cosa sarebbe successo nel futuro.
Richiamato da un semplice episodio - diedi un passaggio ad un ragazzo marocchino da Anzio a Torvaianica e durante il tragitto riuscii a capire, in un italiano marocchino o marocchino italianizzato, che c'era da scoprire - avevo organizzato l'andata con A. perché si sta molto impegnando sulla questione degli immigrati. Poco prima di arrivare sul luogo incontriamo un operaio edile, di quelli di paesi cotti dal sole e dalla fatica; quale migliore occasione? Ci fermiamo per chiedergli di Campo di Carne, ma in realtà per carpire informazioni. Chiedo: "Ma a Campo di Carne si trova manodopera di colore?". "A volontà", fu la risposta. "Ma quanto si paga un operaio per una giornata?". "Quello che gli vuoi dare, quindici, ventimila al giorno ". "Per quante ore?". "Mo' che è estate, per moltissime ore al giorno ". "Dove possiamo trovare questi lavoratori? ". "Si riuniscono tutti in un bar che vi faccio vedere". "Tu li conosci?". "Uno di loro lavora con me in edilizia e percepisce 30.000 lire al giorno ".
Ci fermiamo al bar e scende. Entriamo e chiediamo da bere, chiedendo contemporaneamente a che ora possiamo incontrare operai di colore in quel locale. La risposta: "Questi sono come gli animali, non hanno orari, non danno garanzia in niente, danno un appuntamento e poi magari non lo mantengono". Finisce qua la risposta della proprietaria, che ha tutta l'aria di essere una contadinotta della Campania emigrata qua negli anni sessanta e che, insieme a marito e figli, è proprietaria, credo, oltre che del bar anche delle mura del bar stesso. Aspettiamo fino alle 20 circa senza vedere nessuno, decidiamo di spostarci. Di lì a poco c'era un negozio di ferramenta, A. si reca a chiedere "Dove è possibile trovare manodopera di colore". La risposta: "A Campo Verde ne trovi quanti ne vuoi, buttati come gli animali per terra". E due!, per gli animali.
Ci incamminiamo e a tre chilometri da Campo Verde incrociamo due ragazzi tunisini, diciannove e venti anni. Belli, alti, ma anch'essi cotti dal lavoro. Chiediamo dove era possibile trovare operai di colore disposti a lavorare nell'edilizia (mi fingevo imprenditore, era l'unico modo per entrare nella loro confidenza).
Volevano salire a tutti i costi in macchia e venire con noi a Roma, si dissero immediatamente disposti ed a qualsiasi cifra. Parlavano un francese corretto e veloce, erano studenti universitari che, a causa della FAME che le loro famiglie soffrivano in Tunisia, erano costretti ad emigrare per tentare di poter in qualche modo aiutare i familiari. A. parla un francese abbastanza sciolto e attraverso mille peripezie riuscimmo a farci accompagnare alla loro """CASA""". Sulle prime erano molto diffidenti e non volevano, perché c'era una spietata concorrenza tra loro. Non volevano perché nel posto dove dormivano, ce n'erano tantissimi altri, e temevano in questo modo di contatto tra noi "imprenditori" e tantissimi altri loro connazionali e non, ma comunque di colore.
Riuscimmo a farli salire in macchina e ci dirigiamo verso la loro """CASA """. Un casolare abbandonato in campagna, senza le finestre, senza porte, senza acqua - manco a dirlo - senza luce e, perché mai?, senza neanche un "recinto ". Quella del bar e quell'altro del ferramenta avevano avuto ragione: quale differenza tra la vita delle bestie randagie a questa? Arriviamo costeggiando il casolare, i due ragazzi ci dicono di continuare, di spostarci un po' più avanti per finire la discussione e salutarci. Rimaniamo d'accordo di rivederci tra una decina di giorni, ma non ci andremo, non abbiamo un lavoro da offrirgli.
Ritornando, ricosteggiamo il casolare e questi ragazzi dai diciannove ai venticinque anni ci salutano con un sorriso che è fin troppo eloquente: "Ho bisogno, cerco aiuto ".
Erano buttati per terra sull'erba. Credete, non si faceva differenza a distinguerli dalle bestie. È atroce. Andammo via e ci dirigemmo verso Campo Verde. All'entrata di questa contrada uno spettacolo molto simile a quello descritto sopra. A decine che aspettavano che gli imprenditori li andassero a richiedere per un lavoro nei campi o nell'edilizia. Che tipo di imprenditore? Gente di ventura, o piccoli contadini arricchitisi negli ultimi anni anche con le truffe della CEE, o piccole imprese edili di soggetti provenienti in qualche caso anche dalla fabbrica (ripeto. in qualche caso). Insomma, l'imperialismo e la quinta potenza le vedi con mano, le tocchi; ma vedi anche l'altro versante. Non voglio fare molte considerazioni politiche su questo episodio, mi rendo conto che è impossibile intervenire in questi settori se non si muove "questa rammollita classe operaia nostrana". Io credo che per qualche anno ancora questa condizione di lavoro degli immigrati continuerà e si aggraverà, ma non sarà ancora questo l'elemento più grave, quanto il rischio che possa crescere un odio nei loro confronti da parte di strati operai a causa della compressione dovuta alla crisi. Con una classe operaia in piedi ed in lotta anche questi settori troverebbero collocazione ed organizzazione. Per questa ragione, forse, è necessario tenere sempre d'occhio la cosa, capirne gli umori, i sentimenti, i loro flussi, le eventuali sollecitazioni, capire se ed in che modo cercare di difendersi e così via. Allo stato attuale è pressoché impossibile riuscire fors'anche a discuterci. Ma la forbice si va allargando - purtroppo - e vengono segnali brutti, come quello di Ladispoli, per fortuna circoscritto alla schifosa canea dei commercianti, o quello - più grave - di piazza Esedra, dove un dipendente dell'Acotral addetto alla biglietteria nello stazionamento degli auto della linea Tivoli-Roma, chiamò la polizia perché nei pressi della biglietteria stazionavano "questi sporchi neri" che pisciavano addosso al muro. (proprio fessi, invece di pisciare addosso a lui, pisciavano sul muro).
Il dramma è che questi piccoli, ma significativi segnali di razzismo, il proletariato non riesce neppure a capirli. Sarà perché è estate, sarà perché non si muove niente, sarà perché il mio ribellismo è duro a morire, ma ieri mi era venuta un'idea: andare da questi immigrati e dire loro: "C'è lavoro per tutti voi, basta solo volerlo. Venite", portarli in un campo e e fornire loro un mitra ciascuno, farli salire su di un treno lì vicino e, arrivati a Roma… non è molto difficile incontrare nemici.
30 luglio '87
Mario R.
La bella presa di posizione che qui di seguito pubblichiamo, ci fu inviata diversi mesi fa. Ha fatto un giro lungo, lunghissimo, lento, lentissimo. Poco ci interessa del disguido postale (o meno) e delle sue cause. Essa è oggi "attuale" come, se non più, del momento in cui fu scritta. Ci scusiamo soltanto per il ritardo con i compagni che ce l' hanno inviata.
Milioni di "AMIR" quotidianamente consumano la loro tragedia in ogni angolo della terra: bruciati vivi nelle miniere come in sud Africa, nelle fabbriche computerizzate, davanti agli sportelli del collocamento per timbrare il cartellino della disoccupazione, in guerre "dimenticate" come Iran-Iraq.
Di loro non sapremo mai neppure il nome, seppure lasciano traccia di sé nell'interminabile sanguinoso corso della storia.
La storia di AMIR tuttavia ci ha colpiti più da vicino perché quella nave era nel porto di Genova, bastava salirvi a bordo ed avremmo potuto incontrarlo, parlargli.
Tutto questo hanno capito i portuali di Genova e Livorno osservando la nave della morte, e quella guerra che dura da SEI anni e ha divorato già milioni di speranze, di colpo è diventata vicina, reale.
AMIR chiedeva soltanto di scendere a terra per aver salva la vita e lo ha chiesto ad un paese che si autoproclama continuamente "Democratico", dalle lunghe e consolidaste tradizioni di civiltà e umanità.
AMIR ha osato sfidare la sorte perché voleva vivere, salvaguardare il suo diritto inalienabile alla vita; aveva soltanto Ventidue anni.
Si "aveva", perché questo paese democratico e civile ha risposto ad AMIR lasciandolo nelle mani dei suoi e dei nostri carnefici, rendendo la cosa più intollerabile perché ha giustificato il suo operato con raffinate argomentazioni sui diritti umani, il diritto internazionale, con la scusa dei cittadini Italiani presi in ostaggio a Teheran.
La verità invece è un'altra: il governo Italiano, i sindacati, l'O.N.U. non hanno voluto salvare AMIR, semplicemente perché ogni giorno, ogni momento massacrano milioni di altri AMIR: nelle loro guerre per difendere i loro interessi imperialistici, nelle loro prigioni, nelle loro fabbriche, nelle loro città inquinate ed avvelenate dal più cieco egoismo di classe e dalla più grande indifferenza per chi annega nelle contraddizioni del modo di produzione capitalista. In una società dove la cosa più importante è la realizzazione del profitto, poco importa quante vite umane esso può costare.
Infatti, con i cadaveri in bocca parlano di pace, contro il terrorismo, ed esportano le armi nei paesi dove le guerre si continuano, fanno affari con chi gestisce il terrorismo e lo alimenta, proteggono ed assolvono chi mette le bombe nelle piazze e sui treni.
Tutto ciò perché difendono e perseguono i loro interessi di classe, di una classe che vive sulla sofferenza e sullo sfruttamento della grande maggioranza degli uomini della terra.
Allora, AMIR non sarebbe mai stato salvato da loro ma sempre e soltanto dalla lotta cosciente e disciplinata della classe operaia che, nella lotta contro il capitale non ha altro da perdere se non le proprie catene, e un mondo da guadagnare. Solo da chi quotidianamente, con la coscienza e la ragione, lavora e si adopera per una causa che in fondo è sempre stata e sarà la causa di tutta l'umanità.
Torino, 23.12.1986