La "rinnovata" DP post-capanniana si rivolge pubblicamente "alla Sinistra" inserendo a pagamento una "lettera aperta" nei giornali rappresentativi di questa "Sinistra", dall' "Unità" ali"'Avanti!", passando per il "Manifesto", trascurando-crediamo - solo l'organo fantasma del partito dell'alternativa riformista di Nicolazzi. DP vi espone la propria filosofia politica e le proprie prospettive a venire cominciando con l'assicurare l'interlocutore che si tratta di un semplice "contributo" per la discussione e non di "dogmi", perché se la Sinistra costituisce un assioma su cui °lavorare" è anche altrettanto assiomatico -per DP- che un programma della Sinistra è tutto da costruire: riuniamoci tutti sulle sabbie mobili e poi vedremo di costruirci sopra un bell'edificio "comune"… Ma che è mai questa Sinistra? Essa è "intesa non solo come forze politiche, ma come ampio schieramento di donne e di uomini, di forze sociali e sindacali; di associazioni e di collettivi, di gruppi femministi, di strutture ambientaliste e pacifiste che vogliono trasformare e essere trasformati in un processo di rifondazione culturale e politico". Per l'appunto!
Dietro tanto spreco di "pluralismo di soggetti" sta di fatto, però, che DP si rivolge in primis alla "famiglia" dei partiti politici della Sinistra e lo fa con l'amorosa sollecitudine di chi si preoccupa che i beni comuni di famiglia siano provvidamente amministrati. C'è una sconfitta del PCI che va sanata ed una vittoria del PSI che va gestita meglio che nel passato per metter fine sul serio al "regime DC". Di questo prodigalmente si preoccupa DP, incominciando con l'ammonire il PCI sul suo "errore" d'aver fatta troppo poca opposizione e sull'ambizione "sbagliata" di acquisire una "cultura di governo". Ma, a questo punto, anche l'ultimo sprovveduto picista obietterà immediatamente: è possibile muoversi davvero senza una "cultura di governo"? Vorreste confinarci in eterno nel ruolo di "opposizione sociale"? E se no, quando mai un'alternativa politica potrebbe darsi senza essersi preventivamente dotata di una "cultura di governo"? Si tratterà, semmai, di vedere di che governo, di che tipo di potere, di quali contenuti economici e sociali questa "cultura" debba sostanziarsi. E voi, compagni di DP, che ci proponete? II socialismo, la rivoluzione?
UN GIUDIZIO AUTOREVOLE
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Per l'amor di Dio! In realtà, DP è talmente estranea allo stesso concetto di socialismo e rivoluzione da non azzardarsi neppure ad evocarne il nome. La stessa nozione di capitalismo non appare nella lettera se non di sfuggita, ed una sola volta, in contrapposizione all'… ambientalismo. Leggere per credere! In questo documento tutto centrato sull' "alternativa" (alla "centralità democristiana": formula su cui anche un Craxi può benissimo starci) manca proprio quell'unico punto di riferimento alternativo che si dovrebbe supporre in chi ambisce a stare "alla sinistra del PCI": il socialismo. Termine obsoleto anch'esso! Meglio dire che si tratta di "concepire culturalmente (!) e politicamente il futuro" (senza dar prova di sapere in che presente ci muoviamo); di pensare, al di là della quantità, alla qualità dello sviluppo, alle "compatibilità sociali ed ambientali dello sviluppo" (società ed ambiente essendo, per DP, due cose notoriamente distinte), in un "immane sforzo di riconversione della società ed in primo luogo dell'apparato produttivo". Qui davvero siamo andati di parecchio sotto al classico riformismo di un Bernstein, che, perlomeno, non disdegnava di parlare chiaramente del socialismo cui si sarebbe arrivati attraverso progressivi passaggi a partire dai confini del capitalismo: "Riconversione"! Di che? Con quali caratteristiche programmatiche? Come? Fitto mistero. Resta solo l' "immane sforzo" culturale… a venire.
Non si dica, però, che DP rinunzia a gettare uno sguardo sul futuro. Esso, stando alla lettera, dovrebbe configurarsi come "una nuova sintesi con al centro i valori di solidarietà giustizia e libertà" (ma quali sono i soggetti da "sintetizzare"?, dove sono andati a finire sfruttati e sfruttatori?, con quale operazione di ingegneria genetica si pensa di "sintetizzare" questi elementi antagonisti in un "nuovo" soggetto "liberté fraternité égalité"?). La spiegazione viene subito, e volentieri la riproduciamo gratuitamente: "Lo 'stato dei diritti' e la 'società delle eguaglianze' (!!??) significa riformulazione delle garanzie, di una nuova carta dei diritti, invenzione di nuovi strumenti di controllo, di partecipazione, di formazione della volontà collettiva", il tutto attraverso la saldatura tra lavoratori dipendenti, "le molteplici forme del volontariato" e "la vasta area dell'emarginazione e dei soggetti non garantiti". Insomma: si tratta di riformulare il diritto dei diseguali di essere eguali e la volontà collettiva sarà assicurata per decreto. Nelle aule dei tribunali sta scritto "La legge è eguale per tutti"; DP si propone semplicemente di estendere questa massima a tutto il corpo sociale con gli stessi, ben noti e poco rassicuranti, effetti.
"Volontà collettiva". Ma di che collettività si tratterebbe? Se l'innominato capitalismo è concentrazione e centralizzazione per il profitto e se il socialismo - per Marx e, più modestamente, per noi - è amministrazione centralizzata delle risorse sociali per i bisogni umani, DP anticipa alla Sinistra i suoi risultati "culturali" in antitesi ad entrambe le due strade di cui sopra. Essa dice no allo "statalismo centralizzatore", non perché questo stato sia lo stato del capitale, ma perché la centralizzazione stessa rappresenta, in sé, il Male. II futuro dovrà essere "decentratore", nel nome della "riscoperta delle autonomie nella prospettiva del federalismo". "Oltre" Marx, DP finisce per riscoprire Proudhon e, perché no?, Craxi: "II socialismo, nella sua versione democratica, ha un progetto etico-politico che si inserisce nella tradizione dell'illuminismo riformatore e che può essere sintetizzato nei seguenti termini: socializzazione dei valori della civiltà liberale, diffusione del potere, distribuzione egualitaria della ricchezza e delle opportunità di vita, potenziamento e sviluppo degli istituti di partecipazione delle classi lavoratrici ai processi decisionali" (B. Craxi, Il vangelo socialista, in "L'Espresso" n. 34, 27-8-78). A distanza di nove anni, DP non fa che ripetere, con qualche caduta culturale in sovrappiù, il "vangelo" di Proudhon illustrato da Craxi in contrapposizione - esplicita, vivaddio! - a Marx.
UN «VERDE» CHE PIÙ
BIANCO
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Quel che segue, con riguardo allo scenario mondiale, è rigorosamente in linea con quanto sopra. Il "modello autocentrato" (pessimo italiano, proudhonismo DOC!) dovrà assicurare "relazioni paritarie e solidali fra i popoli" che abbiano "nel vincolo ambientale e nel rispetto dei tempi biologici" il punto di riferimento, come condizione comune "per preservare il futuro". Così come ogni autonomia locale è "eguale" e "solidale" per definizione - stando a DP - nell'ambito di un sistema "federato", alla stesso modo stati e nazioni potranno esserlo sulla base delle rispettive autonomie. L'Italia "eguale" al Ghana, gli USA "eguali" al Bengala a condizione che ogni "autonomo" paese "autocentri" il proprio sviluppo al di fuori di ogni piano centralizzatore della produzione e della distribuzione delle risorse perché ciò costituirebbe una forma di ultra-statalismo e Proudhon non lo ammette.
Da dove nasce questo guazzabuglio "teorico" su cui si vorrebbe chiamare la sinistra a confrontarsi, sperimentarsi e reinventarsi? Sarebbe un errore credere ad un semplice espediente "tattico" per entrare in rapporto dialettico con un interlocutore notoriamente riluttante al "vangelo marxista". Questa pappamolla decentrata, autocentrata, federata, partecipata e di continuo rifondata non è tale, in primo luogo, da attirare l'interesse delle concrete forze istituzionali della Sinistra cui la si propina un tanto al rigo. Questa Sinistra ha perlomeno una sua "cultura di governo" (anche stando ali "'opposizione") fondata sulla conoscenza ed il maneggio reali dei meccanismi borghesi dell'economia e del potere e si fa giustamente beffe delle basse utopie degli scritturali di neo-diritti tutto compreso (antagonismo sociale "garantito" incluso) e delle "nuove qualità della produzione" a suon di volontariato, piccola produzione decentrata e neocomuni beat, punk, freak. DP non fa che riproporre in "alternativa" un proudhonismo in ritardo di 140 anni, quello che Marx nel Manifesto qualificava come socialismo piccolo-borghese con l'occhio volto reazionariamente all'indietro, alla "tradizione" dell'illuminismo ed alla "civiltà liberale" compromessa dallo sviluppo del grande capitale.
In DP ci sono militanti di classe di tutto rispetto (così come ce ne sono nel PCI, non necessariamente e sempre inferiori per qualità e infinitamente superiori per numero). È per questo che noi siamo interessati anche a DP e scriviamo le nostre "lettere" in direzione del suo quadro militante e del suo "ambiente". In quanto a partito, però, DP, oltre al fatto di essere mai stata una formazione marxista, ma al massimo un raggruppamento movimentista, piccoloborghese, di "contestazione" extra-istituzionale agli effetti del sistema vigente, ha perso oggi (esauritosi il ciclo sessantottino e post) gran parte dei suoi stessi connotati "operaisti" originari e si è trasformata in partito istituzionalista tout court. Anche l'aggettivo "centrista" è immeritato per DP. Essa non sta "in mezzo" di alcun dilemma tra riformismo e rivoluzione, tra capitalismo e socialismo, ma semplicemente ambisce a "vere riforme", ad una "riconversione" degli assetti sociali attuali attraverso successivi gradini conquistati per legge ed a prò delle leggi (non scritte) del sistema. Su questa base, cari amici, non darete alcun contributo alla "discussione nella sinistra". Non lo darete ai partiti ed ai sindacati di essa, troppo oltre il vostro miserabile orizzonte passatista. Non lo darete, soprattutto, alla massa degli sfruttati costretta a misurarsi con l'angustia delle "proprie" rappresentanze (e della propria falsa coscienza) riformiste per rispondere alla crisi strutturale del capitalismo ed all'esplodere dell'antagonismo sociale che esso prepara.
Una sana "lettera al popolo della sinistra" (noi diremmo: al proletariato, alla classe operaia ed a chi ne abbraccia la causa) suonerebbe così: la crisi della "sinistra" riformista sta nell'impossibilità crescente di conciliare gli interessi delle diverse classi e gli stessi destini dell'umanità "in generale" col permanere e lo sviluppo di questo putrido sistema; l'antagonismo sociale e politico (che nessun Montecitorio e nessun nuovo Corpus Iuris potrà mai scongiurare) chiama tutte le forze in campo al dunque, e guerra sarà; la stessa difesa dei vostri interessi immediati diventa incompatibile entro il quadro presente cui il riformismo è legato anima e corpo: la condanna del riformismo è pronunziata dai fatti stessi sul suo terreno di elezione; per questa difesa occorrono obiettivi e metodi di lotta radicalmente opposti a quelli del riformismo; discutiamone e lavoriamoci sopra, sviluppando secondo un filo coerente gli sforzi che i settori tra voi più avanzati hanno di già cominciato a produrre sul piano del "movimento" e della "coscienza"; noi comunisti stiamo interamente dentro questo vostro travaglio, senz'alcun settarismo da piccola bottega, ma anche senza bisogno di "reinventarci" alcunché per tirar infine fuori dal cilindro chissà quale "nuova" sconosciuta razza di animale; la nostra prospettiva ve la dichiariamo perciò apertamente perché essa sarà la vostra stessa prospettiva nello scontro di classe che si prepara: non ce la siamo inventata noi né noi ambiamo a detenercela in proprio, è la vecchia e rodata prospettiva del Manifesto di Marx, le cui ragioni sono iscritte nella realtà oggettiva della società borghese; è la prospettiva dell'organizzazione e dell'azione rivoluzionarie per metter fine a questa società ed al suo Stato, per impadronirci come collettività sociale delle leve centralizzate della produzione e del potere al fine di schiacciare dittatorialmente chi oggi ci schiaccia e riorganizzare l'intiera vita produttiva e sociale sulla base non del profitto, ma del soddisfacimento e dell'allargamento dei bisogni umani; su questa strada va perseguita l'unità con le masse sfruttate di ogni altro stato, lingua, razza e colore, la cui emancipazione dipende dalla nostra lotta qui come la nostra dipende dalla loro insorgenza fuori dai cancelli di "casa nostra".
"Popolo della sinistra", sappiamo che queste parole ti suoneranno lontane ed astruse all'immediato; noi non ti chiediamo di genufletterti dinanzi alle nostre "idee", ma di combattere, come sei chiamato a fare ed hai già, in parte, cominciato a fare, e, nella lotta, di accettare il confronto con noi.
Tutto qui come "cornice". Ma è ovvio che una tale lettera non sarà mai scritta da DP, perché il destinatario di essa gli è sconosciuto o confuso e perché il mittente DP a queste elementari cosine semplicemente non ci crede…